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 Dal sito: www.comune.montecalvoirpino.av.it/

  Fonte: "Progetto itinerari turistici Campania interna"
                                                                            di Giovanni Bosco Maria Cavalletti

 

Che sia lo spettacolare burrone del Fosso Palumbo ricamato di grotte arrampicantisi tortuose verso l’antica chiesa collegiata di Santa Maria, o che sia il dolce ondulare del paese che, ormai in declivi di nuove costruzioni, stringe, abbracciandolo verso l’alto, l’imponente castello feudale, Montecalvo offre, da Nord o da Sud, un primo suo volto accattivante e misterioso. Dal grande piazzale del castello lo sguardo spazia intorno ai quattro punti cardinali. Da Ovest a Nord si domina l’intera Valle del Miscano con la vista di Buonalbergo, di Casalbore, di Ginestra degli Schiavoni, delle alture di Castelfranco e della Dormiente del Sannio. Da Sud a Est la Valle dell’Ufita con i paesi della Baronia e il massiccio del Partenio con, nelle belle giornate di cielo pulito, il santuario di Montevergine. Le gialle arenarie dei calanchi, i misti profumi di acacie e ginestre, gli orti squadrati dalle esperte mani dei contadini, ereditarie di tecniche agricole trasformate in arte dal tempo, creano una particolare attrazione che invita, man mano, l’eventuale turista o l’occasionale passante, a raggiungere il centro dell’intero contesto. E qui, tra gli sberleffi delle maschere in pietra poste a proteggere il paese dagli spiritelli maligni, nei vicoli ricchi di fregi e portali, attraversando suggestivi sottopassaggi dai quali improvvisi si offrono allo sguardo stupito sprazzi di cielo e incantevoli dirupi, e possibile rivivere le eccitanti emozioni che il grande Musorgskij dovette provare se e vero, come si ha per tradizione, che ospite al castello di Montecalvo della sua compatriota Maddalena Pignatelli, compose la celeberrima sinfonia ” Una notte sul Monte Calvo” . Effettivamente la duchessa Maddalena Pignatelli, figlia di Pietro Fesenko, consigliere dello zar Nicola II, aveva frequentato, in gioventù, la corte moscovita ed e probabile che li avesse conosciuto il celebre musicista. Il fascino arcano che promana dal cuore del paese, soprattutto in quelle strette e bizzarre stradine del Trappeto, ove pare che il cielo precipiti giu per calanchi, predispone il volenteroso a dare credito agli antichi racconti di streghe che avrebbero ispirato la celebre sinfonia. E cosi sembra di sentire ancora nell’aria il fruscio delle agili scope con cui le leggendarie janare, nelle tempestose notti lunari solcavano il cielo montecalvese per raggiungere il mitico noce di Benevento. E nell’origine stessa del Mito e l’inizio della storia medioevale di Montecalvo. Il Longobardi beneventani, al cui patrimonio culturale tante figure fantastiche furono attinte dagli antichi abitanti della Valle del Miscano, furono gli iniziatori cruenti di una nuova civiltà, frutto della fusione dei caratteri germanici con quelli sannito-latini attraverso la mediazione cristiana. Fu nel VI secolo che nacque l’embrione della Montecalvo attuale.

Le guerre, le epidemie e i disordini di ogni genere, che accompagnarono e seguirono 1’invasione longobarda, costrinsero gli abitanti di alcuni dei vecchi insediamenti romani a raggrupparsi nei naturali punti di difesa che dominavano e circondavano la valle. Dall’odierna contrada Tressanti giunse il principale nucleo che diede origine alla Montecalvo medioevale. Intorno al castrum del Monte Romano, altro nome con cui ancora nel 1500 si identificava la modesta altura su cui sorge il centro antico di Montecalvo, secondo lo storico Arcangelo da Montesarchio antica rocca romana abbandonata, sorsero le prime abitazioni ed intorno ad esse la prima cerchia muraria. Questa circondava il cocuzzolo del monte, abbracciando la parte che va dalla sommità del castello all’odierna Piazza Porta della Terra e che, continuando per Via Lungara Fossi, risaliva verso il castello tagliando l’odierno Corso Umberto all’altezza del palazzo de Cillis. Nel XIl secolo partirono da Montecalvo circa sessanta armati che parteciparono alla crociata indetta da Re Guglielmo il Buono. Al ritorno dalla Terra Santa i superstiti fondarono, sull’esempio di S.Maria Latina di Gerusalemme, l’ospedale di santa Caterina addossandolo al lato Est della cerchia muraria. Nel 1132, ai piedi del castello di Montecalvo si accampo re Ruggiero il Normanno in guerra, in quel frangente, con Rainulfo, conte di Avellino. La prima famiglia feudataria di cui si ha storica notizia e quella dei Potofranco (prima meta del XII secolo). Durante le prime decadi del XIII secolo Montecalvo era assoggettata, almeno per la meta della sua estensione, al nobile Matteo di Letto le cui figlie, Sica e Perticusa, sposarono, rispettivamente, Iacopo Donzello e Bartolomeo di Tocco. 

 

Si formarono allora anche a Montecalvo le fazioni dei Guelfi seguaci del di Tocco, e dei Ghibellini, che si strinsero attorno al Donzello goto 4-53. Quest’ultimo fu esiliato da re Carlo d’Angiò, vittorioso a Benevento contro l’ultimo baluardo svevo nel 1266. Margherita di Tocco, figlia di Bartolomeo, sposo il nobile salernitano Giovanni Mansella, fedelissimo di re Carlo, che divenne il nuovo signore del feudo. A lui, il 9 luglio del 1269, il re affido la delicata missione di riparare e custodire il castello di Crepacore, rocca di particolare importanza strategica per la difesa contro gli attacchi dei Saraceni. Dalla fine del 1300 Montecalvo segui le vicende della contea arianese alla quale rimase aggregato durante i governi dei Sabrano, degli Sforza e dei Guevara fino al 1486, anno in cui il feudo passo sotto il diretto governo della regia corte che provvide, da allora, ad inviare in loco i cosiddetti Capitani, veri e propri governatori.

Nel 1456, durante il governo dei Guevara, e da registrare il disastroso terremoto del 5 dicembre che causo la morte di ottanta persone. Anche se le cronache furono forse esagerate (in quella circostanza Montecalvo fu dato come sprofondato e qualcuno parlo di ottocento morti), i segni del flagello furono, in qualche caso, indelebili. Fu in quella occasione che si ebbe il primo sviluppo urbanistico al di la delle mura, non ritenendosi più necessaria la loro ricostruzione. Con diploma di re Alfonso II O’Aragona del 24 marzo 1494, le terre di Montecalvo, con i feudi annessi di Corsano e Pietrapiccola, furono vendute ai fratelli Caterina ed Ettore Pignatelli, quest’ultimo primo duca di Monteleone, conte di Borrello e viceré di Sicilia, che le tennero per sette anni.
 

Nel 1501 il castello di Montecalvo, con i feudi su riferiti, passo sotto il dominio di Alberico Carafa, primo duca di Ariano. Durante la brevissima dominazione francese, che ebbe inizio nello stesso anno 1501, signore di Montecalvo fu Pietro del Rohan, maresciallo di Francia e fedelissimo di re Ludovico. Ristabilita la supremazia spagnola, re Ferdinando il Cattolico restauro il ducato arianese che, con Montecalvo, torno in possesso O’Alberico Carafa. Nel 1505 Montecalvo riebbe la sua autonomia nei con- fronti di Ariano in quanto il duca Alberico ne dono le terre, insieme ai feudi di Corsano, Motta, Pietra e Volturino, al figlio secondogenito Sigismondo che con privilegio di re Ferdinando il Cattolico, dato in Napoli il 18 maggio 1507, ne ricevette ’investitura. Dal 1525 Montecalvo fu contea ed ebbe annessi i feudi di Corsano, Ginestra, Motta, Pietra e Volturino. Sigismondo Carafa fu il primo della sua famiglia che si poté fregiare del titolo di conte di Montecalvo Cfoto 6). 

I Carafa tennero la contea montecalvese per circa un secolo (1505-1594). La loro presenza fu oltremodo positiva in quanto il paese fu interessato attivamente all’evoluzione culturale di quei tempi che ebbe nel Rinascimento la sua massima espressione. I)al 1458 al 1576, eccettuata una piccola parentesi, la famiglia Carafa tenne l’arcivescovato napoletano e nel 1555 raggiunse il massimo splendore con 1’elezione aI papato di Giovan Pietro Carafa. Con il nome di Paolo IV, questi governo la chiesa di Roma fino al 1559. Giovan Battista II Carafa, quinto conte di Montecalvo, venc.lette i suoi feudi, senza rinuncia del titolo, a Carlo Gagliardi, nobile di Lucera e di Catalogna.

Con il diploma del 2 luglio 1611 re Filippo II di Spagna elevò a ducato la terra di Montecalvo conferendo a Carlo Galiardi, nonché ai suoi eredi e successori, il titolo di duca. Il primo duca di Montecalvo, sposato con Laura Pignatelli, non ebbe figli maschi per cui il suo primo discendente fu una donna, la duchessa Isabella che sposò il marchese di Paglieta Carlo Pignatelli. Da questo matrimonio nacque Carlo Pignatelli che, con atto del 16 novembre 1669, ricevette in dono dalla madre il ducato di Montecalvo che successivamente passa, di mano in mano, ai discendenti della famiglia Pignatelli. Dal 1669 alla prima metà del XX secolo tale famiglia ha annoverato nove duchi di Montecalvo che hanno ivi dimorato (foto 7). I discendenti si fregiano ancora di tale titolo, oltre a quello di marchesi di I’aglieta, portato a Montecalvo da Giovan Battista, marito della duchessa Isabella Gagliardi.
 

Numerosi privilegi, nel corso dei secoli, la civica amministrazione ottenne dall’autorità regia. Il più antico che si conosce fu concesso nel 1270 da re Carlo O’Angio il quale dispenso i Montecalvesi dal pagamento delle tasse. Il re volle sottolineare, in quell’occasione, la maestria dei balestrieri di Montecalvo, la cui opera era stata determinante nel respingere un assalto saraceno alla città di Lucera. Tra gli altri, particolarmente interessante e quello spedito da re Renato d’Angiò proprio dalla città di Lucera il 19 febbraio 1440. Si tratta di quarantotto capitoli scritti in lingua volgare che testimoniano la sincera e per questo forse singolare volontà del sovrano di premunire i suoi sudditi da eventuali angherie feudali.

Anche Ferdinando I D’Aragona, sul finire del 1400, ebbe delle particolari attenzioni per Montecalvo. Con ogni probabilità esse furono sollecitate dal giurista di corte Angelo Cammisa, montecalvese, consigliere collaterale della corona. Quando, nel 1497, papa Alessandro VI espulse il vescovo di Ariano mons.Paolo de Bracchis, perché aveva prestato obbedienza a Carlo VIII, re di Francia, l’abate della chiesa collegiata di S.iVIaria Maggiore in Montecalvo fu chiamato, dallo stesso pontefice, alla reggenza della diocesi arianese. I fermenti culturali, che pervasero l’Europa delle nuove scoperte geografiche e dell’invenzione della stampa, e che si riflessero nei movimenti interni agli ordini religiosi, a cui la crescente ricchezza e le continue guerre tra Stato e Chiesa avevano fatto perdere di vista le finalità dei propri canoni, furono vivi anche e Montecalvo. Nel 1518 vi fu la cessione dell’ospedale di santa Caterina da parte di Sigismondo Carafa e del comune di Montecalvo al monaco agostiniano Felice da Corsano, successivamente acclamato beato dal popolo. Egli fu promotore di una riforma cattolica, contemporanea al movimento riformatore di Lutero e precorritrice del concilio di Trento. Dopo ventisei giorni dalla bolla ”Exurge Domine”, che scomunicava Lutero se allo scadere dei sessanta giorni non avesse ritrattato le quarantuno proposizioni condannate, papa Leone X, con la bolla ”Exponi nobis nuper”, diretta a Sigismondo Carafa, nel dare 1’assenso alla costruzione di un nuovo convento a Montecalvo, sottolinea le gravi difficoltà in cui versava la Chiesa di quei tempi. Nel 1626, con 1’apporto determinante della casa ducale, si diede inizio ai lavori per la costruzione della chiesa e del convento di S.Antonio a ”circa quarantapassi dal borgo, verso mezzogiorno, e riusci cosi ben situato, e che tanta modesta magnificenza, che fa a gara (anno 1734) con più nobili conventi ch questa (S.Angelo in Puglia) e in altre province” Cda ”Cronistoria della Riformata Provincia di S.Angelo m Pugliag Le strutture furono ultimate nel 1631 ed il convento pote vantare due chiostri, sette dormitori e sessanta celle che, aggiunti ai locali dell’ospedale di S.Caterina e a quelli del- l’ospedale dell’Annunziata, quest’ultimo a detta del cardinale Orsini ’Vl più nobile” di tutta 1’estesa arcidiocesi beneventana, fecero di Montecalvo un paese dalle notevoli capacita ricettizie. I frequenti passaggi tra la Campania e la Puglia, ma soprattutto i mercati e le fiere, costituirono in passato occasioni importanti perché tali strutture fossero sfruttate in pieno. La più antica tra le fiere e, con ogni probabilità, quella di Santa Caterina. Di essa si ha notizia sin dal 1200 ed e ricordata come l’occasione di un non molto chiaro ed apparentemente poco edificante fatto successo nell’ospedale di S.Caterina ove, pare, fossero state ospitate delle donne in locali non separati da quelli ove erano i frati. La scadenza venticinquennale dell’anno santo, oltre naturalmente ai terremoti, costituiva motivo di revisione, o ristrutturazione, degli ospedali.

In occasione del giubileo del 1725 papa Benedetto XIII concesse particolari indulgenze ai pellegrini che fossero passati per la chiesa di S.Maria Assunta in Montecalvo. La già antica tradizione culturale montecalvese, che annovera nomi di giuristi e teologi fin da11300, fu per cosi dire, istituzionalizzata nel 1652 con la fondazione, presso il convento di S.Antonio, delle cattedre di filosofia e teologia, per secoli oggetto di impcgnativi concorsi da parte dei massimi esponenti del pensiero francescano della provincia minoritica cii S.Angelo in Vuglia, dal 1911 Sannita-Irpino. Nonostante la grossa portata culturale della fondazione del convento francescano e dell’istituzione di regolari corsi accademici, il posto di preminenza nelle cronache del 1600 spetta alla terribile peste del Cinquantasei. Il grave flagello, nel giro di un paio di mesi, causò a Montecalvo la morte di oltre duemila persone su una popolazione di poco superiore alle quattromila unita. 

Conseguenza dell’epidemia pestifera fu la distruzione di intere terre e questa sorte tocco al feudo di Corsano che da allora, pian piano, e divenuto con Montecalvo una sola realtà civile. A causa della peste, profondi sconvolgimenti demografici interessarono tutto il regno di Napoli. Intere famiglie trasmigrarono dai centri alla ricerca di terre più sicure. 
La collina montecalvese fu particolarmente interessata dal continuo arrivo di superstiti, soprattutto pugliesi, che da allora si inserirono nella nuova realtà culturale. La seconda meta del XVII secolo rappresenta per Montecalvo un periodo particolare dal quale nacquero le premesse per uno sviluppo urbanistico che ancora oggi fa risentire la sua lontana influenza. Fu allora, infatti, che si popolo per la prima volta la zona del ”Piano” che, via via, fino ad oggi, ha sottratto alla ”Piazza” la funzione di centro per antonomasia ed e diventata il fulcro dell’attività commerciale locale. 

All’espansione fuori mura verso Ovest del dopo terre- moto 1456 segui quella verso Nord-Est del dopo peste 1656. Questa opposta tendenza e motivata dal fatto che mentre nel XV secolo Corsano, e la rete viaria che lo interessava svolgevano ancora funzione di richiamo, nella seconda meta del XVII secolo Corsano era stata distrutta, dalla stessa peste, ed i nuovi arrivati, giungendo soprattutto dalla Puglia, si fermarono appunto a Nord-Est del paese, non solo, ma la zona del ”Piano” offriva migliori possibilità di sviluppo urbanistico e non a caso, infatti, vi furono costruiti grandi complessi che era inimmaginabile inserire sul cocuzzolo montecalvese.

 Le prime strade che si popolarono furono Via Bastioni e Via Costa dell’Angelo che partendo entrambe dal Largo Mercato, l’odierna Piazza Porta della Terra, sfociano in Piazza Vittoria la prima ed alla confluenza di Viale Pini con Corso Vittorio Emanuele la seconda. Sulla cultura indigena se ne inserirono altre. Le influenze marine, i ricordi delle esperienze guerresche tramandate dagli avi e la raffigurazione di stemmi gentilizi delle nuove casate vennero ad arricchire l’arte della pietra, peraltro gia presente a Montecalvo. 

 

Il ricordo dei Saraceni, che a lungo avevano infestato il mare pugliese, divenne arte espressa in leoni e scimitarre. Si diede inizio alla costruzione degli eleganti palazzi di Via Piano, l’odierno Corso Vittorio Emanuele, che vennero ad aggiungersi a quelli, più antichi, della parte alta del paese. Il terremoto del 1962 decreto la fine di molti di essi ed altri appaiono oggi deturpati nella loro interezza. Il terremoto del 5 giugno 1688 sancì la fine di almeno otto fra le più antiche chiese di Montecalvo le cui rendite, per decreto del cardinale Orsini, furono incamerate dalla chiesa di S.Maria Assunta, e da quella del santo Angelo Custode. La fine del XVII secolo e segnata ancora da un terremo- to, quello del 1693, che causo penosi ritardi nelle ristrutturazioni ancora in corso dal sisma del 1688. Il 1686 aveva visto il succedersi del cardinale Vincenzo Maria Orsini, gia arcivescovo di Cesena, sulla sedia arcivescovile beneventana. L’opera riformatrice dell’Orsini, dai papi additata ad esempio all’intera Europa tanto che alcuni sovrani mandarono a Benevento dei loro osservatori, oltre al recupero dei valori in se, fortemente affievolitisi in secoli di trascuratezza religiosa, fu volta alla formazione di veri e propri registri di raccolta documentale che costituiscono, oggi, un prezioso patrimonio archivistico. Il prelato ebbe intensi rapporti con Montecalvo e quando sali sul soglio pontificio assumendo il nome di Benedetto XIII, inviò, alla collegiata di Santa Maria Assunta, il prezioso dono di due parati completi con dedica ricamata ”Pro Montecalvo A.D. 1724”. 

Nuovi danni al patrimonio urbanistico furono arrecati dal sisma del 1702 ed ancora da quello del 1732. Il diciottesimo secolo si caratterizza, nella storia montecalvese, per la nascita di Domencio Pirrotti, poi San Pompilio Maria dell’ordine religioso delle Scuole Pie. Sesto di undici figli, nacque dal dottore in legge Gerolamo e dalla nobildonna Orsola Bozzuti il 29 settembre del 1710. All’età di sedici anni fu accolto nella Casa dei Padri Scolopi di Benevento. Il 20 marzo del 1734 fu ordinato sacerdote nel monastero di San Benedetto in Brindisi. Svolse il suo apostolato in tutta Italia ed in particolare in Abruzzo tanto da meritare il titolo di ”Apostolo degli Abruzzi”.Con i suoi straordinari meriti umani e religiosi attrasse su di se gli odi, le gelosie e le invidie di quanti, religiosi e non, si vedevano scavalcati nella gerarchia degli affetti e della stima del popolo e delle autorità. Per questi motivi, nel 1759, fu esiliato dal regno di Napoli ove, pienamente riabilitato, rientro, diretto a Campi Salentina (LE), nel 1765.

L’anno dopo si spense nella cittadina pugliese ove, in un maestoso santuario a lui dedicato, riposa oggi il suo corpo. La disponibilità per il popolino e la piena comprensione dei problemi dei più deboli, per le cui mise giuste non esitò mai a schierarsi, lo resero celebre nella sua epoca. Fu un precursore nella diffusione in Europa del culto al Sacro Cuore di Gesù. Molto devoto delle anime del Purgatorio era solito, come testimoniano i processi per la sua canonizzazione, parlare con i defunti. Gli stessi processi confermano che discorreva con la Madonna che affettuosamente chiamava ”Mamma bella ”. Fu beatificato nel 1890 da papa Leone XIII che nel 1839 aveva personalmente dato inizio, in Montecalvo, alla causa. Il 19 marzo del 1934 fu solennemente canonizzato, nella basilica di San Pietro in Roma, dal Pontefice Pio XI. Nel 1785, con dispaccio reale di Ferdinando IV di Borbone, che esaudiva la richiesta del 1783 fatta dall’università di Montecalvo, la chiesa del SS.mo Corpo di Cristo, successivamente distrutta dal terremoto del 23 luglio 1930, fu elevata a collegiata. Questa si affianco a quella, antichissima, che faceva capo alla chiesa di S.Maria Assunta. Durante la rivoluzione napoleonica del 1799 Montecalvo innalzo, in più punti del paese, il vessillo repubblicano, ma ancora più diretta fu la partecipazione dei Montecalvesi ai fatti rivoluzionari del 1820. Attivissima fu la Carboneria che si coagulo intorno alle figure di Diofebo e Dioclezano Bisogni ritenuti c.4.11a polizia borbonica tra i più pericolosi cospiratori del regno. Interessante, a tal proposito, e il portale in pietra con simboli massonici oggi rimontato sul ricostruito casino di campagna della famiglia Stiscia in contrada Marinella (foto 10). La scelta di un Montecalvese da parte di Pio IX alla sedia episcopale di Nusco in un delicatissimo periodo della storia d’Italia, 1860-1870, dimostra come tutt’altro che unanimi fossero i pareri della popolazione circa l’uniti d’Italia. Pulita ed accorta fu, comunque, la politica di mons. Gaetano Maria Stiscia, gia vicario foraneo e parroco di S.Nicola in Montecalvo, che pur invocando la benedizione divina su Francesco II e su tutta la casa reale napoletana, si distinse per la severità con cui tento cli estirpare la piaga del brigantaggio nella sua diocesi discostandosi, quindi, dalla stessa politica borbonica. Notevole fu il tributo di sangue che Montecalvo offri alla Patria nelle due guerre mondiali. Attivo fu l’antifascismo. Dal dopoguerra ad oggi, con diverse formule di collaborazione, socialisti, comunisti, democristiani, pidiessini e civici, si sono succeduti alla guida dell’amministrazione comunale.

 

 

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