I CRISTINO: UNA
FAMIGLIA ANTIFASCISTA
Montecalvo ha dato i
natali a due nobilissime figure dell’antifascismo irpino: Pietro Cristino
e suo figlio Giuseppe. Nel corso della loro vita, lottando contro
incomprensioni e persecuzioni, testimoniarono la loro fede incrollabile
nella libertà e nella giustizia sociale. Pietro Cristino nacque nel
1882. Di professione farmacista, fu consigliere comunale socialriformista
nel periodo 1920-23 e nel gennaio del 1923 passò al PSU. La sua farmacia
divenne il luogo d’incontro degli antifascisti locali e dei paesi
limitrofi. Le autorità fasciste disposero per Cristino un’attenta e
continua vigilanza. Numerose furono anche le perquisizioni domiciliari che
il farmacista di Montecalvo Irpino subì in quegli anni. Il 13 novembre
1926 fu per la prima volta tratto in arresto, subendo l’ammonizione poiché
ritenuto “elemento pericoloso all’ordine nazionale”. Nel dopoguerra
partecipò attivamente alla vita politica del suo paese, guidando, come
sindaco socialista, la prima amministrazione municipale democratica. Si
spense nel 1962. La parabola politica del farmacista di Montecalvo
influenzò anche il figlio Giuseppe (entrambe le figure sono
esaurientemente trattate in un interessante libro del professor Francesco
Barra, edito nel 1979). Nato il 17 maggio 1918, Giuseppe Cristino
maturò nei confronti del regime un autentico sentimento di ribellione, che
lo condusse, giovanissimo, all’espatrio clandestino dapprima in Francia e
successivamente nelle file delle “Brigate Internazionali” impegnate nella
guerra civile in Spagna a fianco dei repubblicani. Giuseppe Cristino
ottenne la maturità nel 1937 a Napoli, dove si era trasferito con la madre
Michelina Capozzi, le sorelle Alba e Laura, il fratello Oreste e la
domestica Giuditta Fioravanti, mentre il padre rimase a Montecalvo per
gestire la farmacia. E nello stesso anno si iscrisse all’università.
L’espatrio all’estero, il desiderio che celava nella sua coscienza,
divenne ben presto l’unica sua scelta. Erano gli anni del massimo consenso
al regime di Mussolini e Cristino aveva maturato la convinzione di
combattere il fascismo in campo aperto. Decise, quindi, di espatriare,
prima in Francia e poi in Spagna per combattere nelle file dei
repubblicani. Tenendo all’oscuro la famiglia, il giovane Giuseppe nel
1938 partecipò ad una gita a Parigi, da dove non fece ritorno in patria.
Nella capitale francese strinse contatti con gli esuli antifascisti
italiani decidendo, poi, di arruolarsi nelle Brigate Internazionali. Il
14 aprile partì per il confine spagnolo: giunto a Figueras, proseguì per
Besalù, in Catalogna, dove rimase circa un mese in un campo d’istruzione
militare. Ai primi di giugno fu accorpato alla Compagnia mitraglieri del
secondo battaglione della “Brigata Garibaldi”, che si accingeva ad
affrontare i franchisti sul fronte dell’Ebro, in una delle più cruenti
battaglie a difesa della Repubblica spagnola. Cristino divenne il
“commissario politico” della Compagnia, ma la sua milizia repubblicana
stava tragicamente per concludersi. La battaglia dell’Ebro durò dal 25
luglio al 16 novembre 1938. Il comando repubblicano, per arginare
l’avanzata delle truppe franchiste verso Valencia, decise di attaccare nel
settore dell’Ebro tra Mequinenza e Cherta. L’offensiva, su un fronte di
circa 150 Km, provocò la ritirata dei nazionalisti del generale Franco,
che dopo aver ricevuto i rinforzi passarono alla controffensiva
sbaragliando le forze repubblicane, che perdettero circa 80.000 uomini,
tra cui 30.000 prigionieri. E il 13 settembre 1938, durante la sanguinosa
battaglia, il giovane Cristino, insieme con altri compagni di lotta, fu
fatto prigioniero dalle forze fedeli al generale Franco.
|
MONTECALVO E LA GUERRA
CIVILE SPAGNOLA
Di
tutti i popoli, di tutte le razze, veniste a noi come fratelli, figli
della Spagna immortale, e nei giorni più duri della nostra guerra, quando
la capitale della Repubblica spagnola era minacciata, foste voi, valorosi
compagni delle Brigate Internazionali, che contribuiste a salvarla con il
vostro entusiasmo combattivo, il vostro eroismo e il vostro spirito di
sacrificio”. Dolores Ibarruri, la “pasionaria” della guerra di Spagna, in
questo modo ringraziò i volontari che formavano le Brigate Internazionali.
Ma le parole pronunciate dalla rivoluzionaria spagnola erano un grido di
dolore, nel ricordo delle migliaia di caduti che avevano contrastato la
sanguinosa avanzata del generale Francisco Franco. Sulla terra di
Spagna, lottando per la libertà, fu versato anche sangue irpino: Giuseppe
Cristino, un giovane di Montecalvo si arruolò volontario nelle Brigate
Internazionali, ma la sua voglia di giustizia gli riservò un atroce
destino. Nel campo di concentramento di Saragozza, una epidemia di tifo
stroncò la sua esistenza terrena. Correva l’anno 1941. |
I VOLONTARI PER LA
REPUBBLICA
Tra il 1936 e il 1937, arrivarono
in Spagna migliaia di volontari provenienti da varie nazioni con l’intento
di difendere il governo democraticamente eletto e presieduto da Manuel
Azana, e per combattere al fianco dell’esercito repubblicano. I
volontari delle Brigate Internazionali, provenienti dai cinque continenti,
furono circa 40.000 e circa la metà morì in combattimento, fu dispersa o
ferita. Sul campo si contarono circa diecimila morti, mentre i feriti
furono quasi ottomila. Altri cinquemila uomini combatterono in unità
dell'esercito repubblicano e almeno altri ventimila prestarono servizio
nei servizi sanitari o ausiliari. La ripartizione per nazionalità dei
volontari delle Brigate Internazionali fu la seguente: francesi 10.000,
tedeschi 5.000, italiani 3.350, statunitensi 2.800, inglesi 2.000,
canadesi 1.000. Più diverse centinaia di iugoslavi, albanesi, ungheresi,
belgi, polacchi, bulgari, cecoslovacchi, svizzeri, nordeuropei, messicani
e africani. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nella
Brigata Garibaldi, fu quindi consistente e mise in campo alcuni tra i
maggiori esponenti dell'antifascismo: i comunisti Palmiro Togliatti, Luigi
Longo e Vittorio Vidali, il socialista Pietro Nenni, il repubblicano
Randolfo Pacciardi. Tra gli italiani figuravano anche l'anarchico Camillo
Berneri e il dirigente di Giustizia e Libertà Carlo Rosselli, che furono
tra i primi ad accorrere in Spagna e già nell’agosto del 1936 costituirono
la “Colonna Italiana Francisco Ascaso”, una formazione di circa 300
volontari di ogni fede politica. Le Brigate Internazionali ebbero un
ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia
di Guadalajara (marzo 1937) e nelle grandi offensive repubblicane su
Belchite (agosto 1937), Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull'Ebro
(luglio 1938). Tuttavia, su pressione delle democrazie occidentali
impegnate nella politica di “non intervento”, il governo repubblicano
decise il ritiro dal fronte delle Brigate internazionali, tenendo una
parata di addio il 29 ottobre 1938 a Barcellona.
|
LA PRIGIONIA
Dopo la cattura, Cristino fu
rinchiuso nel campo di concentramento di San Gregorio, presso Saragozza,
dove fu sottoposto a stringenti interrogatori da parte di un centurione
della milizia e di un vicebrigadiere dei Carabinieri, entrambi addetti
all’Ufficio Compiti Speciali del corpo di spedizione italiano inviato da
Mussolini in Spagna. Il verbale dell’interrogatorio di Giuseppe
Cristino, oltre ad essere un eccezionale documento storico, può essere
ritenuto una testimonianza di altissimo valore morale. L’antifascista di
Montecalvo, conservando la propria dignità di fiero oppositore del
fascismo, nonostante le coercizioni fisiche e psicologiche
dell’interrogatorio, ricordò i drammatici problemi sociali della terra
d’origine. Inoltre spiegò le ragioni che lo avevano spinto a combattere a
difesa della Repubblica spagnola. Questi alcuni stralci
dell’interrogatorio: “La situazione dei contadini nel mio paese è delle
più precarie, molte volte mancano anche del pane ed io ritengo che la
colpa debba attribuirsi al fascismo, che se volesse aiutarli, dovrebbe
aumentare le terre da loro coltivate espropriandole, se del caso, ai vari
proprietari che ne hanno troppe. La situazione dei maestri elementari, che
guadagnano una media di 400 lire mensili, è anche miserrima. Un maestro ad
esempio deve istruire centodieci alunni e non può ottenere risultati
tangibili. Lo stesso lavoro potrebbe essere fatto da quattro insegnanti,
ottenendo così altri tre posti per disoccupati; anche di questo fatto,
secondo me, il governo fascista è responsabile. Gli operai ed i muratori
soffrono in permanenza in disoccupazione e le paghe sono miserrime. Non
posso approfondire le cause di questo stato di cose, però ritengo che il
governo fascista non tuteli abbastanza la classe lavoratrice. Io sono
studente e come tale trovo che i programmi di insegnamento, specialmente
nelle Università, sono basati esclusivamente sul fascismo ed anche dove
sono errati ne è impedita la critica e la discussione. Nei littoriali
della cultura, ai quali io avrei potuto partecipare questo anno, si
debbono presentare dei lavori che non sono ammessi se espongono idee e
concetti contrastanti con quelle che sono le direttive imposte dai
programmi fascisti. Non ho approvato la campagna abissina perché per
me è stata una vera e propria aggressione contro un popolo inerme ai cui
danni sono stati usati metodi di guerra inumani, ad esempio gas
asfissianti. Io sono contrario ad ogni violenza. La politica estera del
fascismo, per me, è criticabilissima; nel mentre noi eravamo tanto nemici
dei tedeschi, improvvisamente Mussolini ha permesso a questi di annettersi
l’Austria; ritengo che avrebbe dovuto impegnarsi con la forza poiché la
vicinanza della Germania è pericolosissima. Per tutte queste ragioni, nel
mio animo ho sempre avversato il fascismo[…]”. Poi spiegò il passaggio
dell’espatrio in Francia fino all’arruolamento nelle Brigate
Internazionali: “Nacque a poco a poco in me il desiderio di andarmene
dall’Italia e precisamente a Parigi per ammirare le bellezze della città e
per cercare in Francia, paese di tutte le libertà, dico meglio, paese più
libero, un lavoro che mi desse anche la possibilità di pensare con la mia
testa. Questo progetto non potei attuarlo prima perché non disponevo del
denaro necessario. Nel novembre dello scorso anno finalmente riuscii a
trovare impiego per mezzo del signor Laurenzi di Caivano quale cassiere
presso il Luna Park “Pelucchi e Drouet” di Napoli […] Rimasi in tale
impegno sino al 1° febbraio circa. In questo periodo di tempo potei
risparmiare circa ottocento lire. Approfittando di una gita collettiva a
Parigi […] potei parteciparvi con la spesa collettiva aggiratesi sulla
cinquecento lire”. Nella capitale francese, Cristino conobbe un certo
Martinelli che lo inserì nell’ambiente degli esuli antifascisti. Dopo aver
dimostrato la propria avversione al regime di Mussolini, espresse la sua
lucida scelta politica: combattere il tentativo di rovesciare la
Repubblica spagnola, anche a costo di affrontare in battaglia i propri
connazionali. Queste le parole del giovane irpino: “Potei finalmente
essere inviato in Spagna dopo quasi 20 giorni di permanenza a Parigi […]
Una volta fatto prigioniero, a chi mi domandava dei miei sentimenti
politici ho dichiarato francamente che sono antifascista […] Sapevo
perfettamente, venendo in Spagna, che forse mi sarei trovato a combattere
contro le truppe italiane. Questo fatto in certo qual modo mi dispiaceva,
ma non lo consideravo un ostacolo insormontabile alla linea di condotta
che mi ero prefisso, e cioè quella dell’essere io un antifascista”. Nel
frattempo la famiglia continuava a restare all’oscuro della sorte del
giovane, nonostante la polizia fascista fosse al corrente del suo arresto.
Solo nel giugno del ’39, ai genitori giunsero prima un biglietto di un suo
compagno di prigionia, e poi una lettera dello stesso Giuseppe,
prigioniero nel campo di concentramento di San Pedro de Cradenas, presso
Burgos. Questo il testo della missiva indirizzata alla madre il 24 giugno
1939: Cara
mamma, dopo molti tentavi per ottenere vostre notizie solo in questi
giorni sono stato informato che avete ricevuto una lettera da un mio amico
americano. Sono stato molto contento e incoraggiato a fare un altro
tentativo. Credo che ora sappiate la mia condizione attuale dalla quale
spero di uscire presto. Ciò che mi ossessiona, che mi rende più
insopportabile la pena è la completa ignoranza della vostra situazione, di
quella di tutta la famiglia. Perciò vi supplico di appagare questo grande
desiderio. Da soldato vi scrissi una lettera che mi farebbe piacere se
l’aveste ricevuta; di essa vi ripeto solo che vi ho compreso. Di me vi
dico che sto ottimamente in salute. Aspettando giorno per giorno la vostra
risposta stringo in un solo abbraccio voi
tutti”. Giuseppe era vivo, e la madre, mescolando
gioia e angoscia, rispose al figlio prigioniero dei franchisti ricordando
la sua fede per Santa Rita: “Mio caro figlio non mi sembra vero che
nelle mie mani ho la tua calligrafia […] Sono contenta, veramente contenta
perché dopo tante sofferenze ho avuto la grazia che volevo […] Un giorno
mi venne l’idea di fare la novena a Santa Rita e allora feci portare a
casa la statua della Santa […] Facemmo la novena con la supplica. Io la
feci con tanta fede che non potevo leggere in una tirata la supplica, e
ogni tanto ero costretta a fermarmi a piangere. Tu forse non mi credi, ma
appena finita la novena, mentre stava ancora a casa Santa Rita e proprio
nella tua camera, ebbi la prima tua notizia […]”. Il
voluminoso fascicolo del Casellario che riguarda Giuseppe Cristino
custodisce anche una drammatica lettera inviata al padre, il 25 agosto
1939, da Robert Stek, un volontario americano che era stato compagno di
prigionia del giovane irpino. Steck invitava Pietro Cristino a tenere vivo
il contatto con il figlio: “Egregio sig. Pietro Cristino, sono un amico di
vostro figlio Giuseppe, col quale ho trascorso diversi mesi di prigionia a
San Pedro. Essendo stato più fortunato di lui, sono stato oggi rilasciato
libero. Mi auguro che Giuseppe possa seguirmi subito […] La situazione dei
prigionieri è veramente triste. Essi soffrono per la malnutrizione […] Le
loro condizioni di vita, in generale sono anche pessime. Ai prigionieri è
permesso ricevere pacchi e danaro. Vi consiglierei quindi di inviargli un
pacco di viveri. Il danaro potrete inviarlo a mezzo della Croce Rossa.
Innanzi tutto scrivetegli spesso, perché non tutte le lettere gli
pervengono. Di modo che scrivendo spesso egli ne riceverà qualcuna […]
Giuseppe è diventato uno studioso di lingue estere”. Il giovane irpino
fu costretto a sopportare un atroce calvario nei campi di concentramento
spagnoli. E la sua disperazione, derivante dalle drammatiche condizioni di
vita e dalla mancanza di una prospettiva che aprisse ai prigionieri una
speranza di libertà, fu il filo conduttore dell’ultima lettera che inviò
alla famiglia da San Pedro, il 26 novembre 1939:“Cara Mamma, ho atteso con vera
impazienza per circa un mese una vostra lettera ed alcun pacchetto che mi
avete annunziato nella vostra ultima, inutilmente […] Sono costretto a
vivere di speranze ma cerco di non morire disperato. Ancora più mi
rincresce che non sia arrivato qualche pacchetto dato che molto facilmente
il giorno 28 c.m. andremo via da S. Pedro per andare a formare un
battaglione di lavoratori a Belchite e ciò causerà qualche disguido nella
posta […] Non ho potuto scrivervi prima perché ancora una volta non avevo
la possibilità di comprare una cartolina […]”. Nel 1941,
il governo spagnolo decise di consegnare i combattenti antifascisti che
erano stati catturati alle autorità italiane per il rimpatrio. Ciò
significava sicura fucilazione, ma questo però non avvenne perché Giuseppe
Cristino immolò in un altro tragico modo la sua vita di combattente
antifascista. Nel mese di settembre fu stroncato da una fulminea epidemia
di tifo che si era sviluppata tra i prigionieri. I compaesani non
dimenticarono il valore della sua scelta. In una lettera non firmata ed
attualmente custodita presso l’archivio dell’Istituto Gramsci di Roma, il
promotore della sezione del PCI a Montecalvo Irpino, così scrive il 5
gennaio 1944 ai dirigenti regionali del partito: “Caro compagno Maglietta
[…] ho creduto opportuno di dare il nome alla sezione d’un giovane
comunista universitario di questo paese, caduto sul fronte della libertà,
in difesa della Repubblica Spagnola. Il compagno Reale lo ha conosciuto.
Si chiamava Giuseppe Cristino, figlio del farmacista di Montecalvo. La
sezione si chiama: circolo di Cultura della Sezione Comunista ‘Giuseppe
Cristino’. Penso che il Partito non troverà obiezioni a questa mia
decisione, vero? La sezione ha cominciato a funzionare dal 1° gennaio
1944, come vedrete dalla tessera provvisoria che ho fatto fare […]”.
Il sommo sacrificio di Giuseppe Cristino rappresenta una testimonianza
indelebile di coraggio in nome degli ideali di libertà e di democrazia,
che spinsero il giovane irpino, e tanti come lui, ad immolare la propria
esistenza per combattere il fascismo.
|