| Appena sfumata, in quella che un tempo fu 
    la Piazza Vecchia di Montecalvo, giunge oggi l’eco di una fiera le 
    cui origini si perdono tra le trame del tempo e la nebbia novembrina che, in 
    una sorta di velata protezione, avvolge il sito dell’antica chiesa di Santa 
    Caterina.Più in là, dove lo sguardo incrocia gli anfratti arenaci  della Macchia 
    di Cavalletti, spuntati dal tempo, ma ancor di più dall’indifferenza 
    dell’uomo, i bastioni delle antiche mura, che dalla fine del
  Medioevo 
    ospitarono l’ospedale alla stessa santa dedicato, a mala pena resistono alla 
    superstite mortificata memoria. In un non precisato anno del Milleduecento in quelle mura, che la pietà di 
    chi aveva ritenuto legittimo l’uso della forza per liberare Gerusalemme dai 
    musulmani infedeli trasformò in riparo per ammalati e pellegrini, si 
    consumò uno scandaloso episodio il cui ricordo perdurò nei secoli 
    successivi.
 Il verbale di cessione, che nel 1518 sancì il passaggio della struttura 
    ospedaliera e religiosa agli agostiniani del beato Felice da Corsano, molto 
    scarnamente tramanda che nel Milleduecento, appunto, furono lì ospitate 
    delle donne e perché non è onesto, afferma il documento, ospitare 
    delle donne dove risiedono i frati, è opportuno, per l’avvenire, aver 
    l’accortezza di separare i due sessi.
 Al di là della considerazione che anche Montecalvo, forse, ebbe la sua 
    Canterbury, la menzionata occasione ci dà la certezza della funzionalità del 
    complesso già nel XIII secolo.
  E fin dall’inizio esso fu posto sotto la protezione di Caterina 
    d’Alessandria, la leggendaria santa torturata e martirizzata nel IV secolo, 
    durante la persecuzione dell’imperatore Massimino Daia.
 La testimonianza più antica del suo culto è coeva al tempo del martirio, ma 
    a partire dal X secolo, e massimamente dal Millecento, esso si diffuse in 
    gran parte d’Europa. E’ molto probabile che proprio allora sia giunto a 
    Montecalvo, introdottovi dai superstiti della crociata indetta da re 
    Guglielmo il Buono.
 A quell’avventura avevano partecipato circa sessanta armati montecalvesi che 
    avevano conosciuto i due ospedali, quello maschile di San Giovanni Battista 
    e quello femminile della Maddalena fondati intorno alla chiesa di Santa 
    Maria Latina in Gerusalemme. E furono i Crociati che insieme alla prima 
    esperienza istituzionalizzata di assistenza agli ammalati e ai  poveri, 
    portarono in Europa, incrementandolo, il culto a Santa Caterina.
 
  L’usanza medioevale di abbinare le fiere con feste religiose, e la data del 
    25 novembre, festa canonica della Santa, coincidente a sua volta con la 
    chiusura della stagione agricola, favorirono il sorgere della fiera di Santa 
    Caterina. Per secoli i Magistri Nundinarum, letteralmente i maestri delle 
    fiere, funzionari appositamente nominati dalle autorità locali, 
    feudatario e civica amministrazione, ne decretarono l’apertura e la chiusura 
    controllando e disciplinando le operazioni di scambio e di vendita. Ci 
    riesce difficile immaginare i flussi di acquirenti e venditori, spesso a 
    ruoli alternati, all’interno delle mura. Dalla porta carraia del Monte,
    da quella del Trappeto e dalla Porta della Terra si 
    raggiungeva il sagrato della chiesa di Santa Caterina.
 
  Era qui il cuore della festa e del mercato, binomio indissolubile nel 
    desiderio di riposo e di contatto sociale. Era nel momento della fiera che 
    promesse e necessità trovavano un tempo, al popolo comune, per la loro 
    soddisfazione. Ed ecco, quindi, il gaudio collettivo: i progetti, l’attesa, 
    gli incontri, il cimentarsi nell’affare, il saper vendere ed 
    il saper comprare e il tutto nella festa, condita di aromi e di 
    sapori. I monaci agostiniani dal 1518, ma già i Cavalieri di Malta, tutori e 
    amministratori delle origini, furono gli anfitrioni della fiera organizzando 
    il tradizionale pranzo.
 Fu nel palazzo di Sigismondo Carafa, di lì a poco primo conte di Montecalvo, 
    che il 22 giugno del 1518 gli agostiniani si impegnarono con pubblico 
    strumento a perpetuare la già plurisecolare tradizione: perché per lo 
    tempo passato è stato solito, nel dì de Santa Caterina, dai confratelli e 
    dal Priore che in tale ricorrenza sono nominati maestri, organizzare un 
    convito, ossia una festa, che così ancora si abbia ad osservare per 
    l’avvenire, come è stato solito…
 Ma di lì a qualche secolo la stretta Piazza Vecchia non riuscì 
    più a contenere l’esuberanza di un incontro che con il passare degli anni si 
    rivestiva di un sempre più alto  valore economico prolungando i giorni della 
    sua durata.
  La sua fama oltrepassò i confini della Valle del Miscano. I pastori 
    abruzzesi che annualmente percorrevano il Regio Tratturo ne amplificarono la 
    voce. Che giunse nel Molise, in Abruzzo, in Puglia. Fu necessario  
    trasferirla, nel tempo e nello spazio.
 Ne fu anticipata la data al 21 novembre per evitarne la concomitanza con 
    l’omologa fiera che il 25 si teneva a Foggia, contemporaneamente si  preferì 
    un contesto più agevole e spazioso: il Piano.
 Un nuovo ospedale ed un nuovo convento ricevettero il testimone 
    dell’accoglienza: l’ospedale dell’Annunziata e la comunità religiosa di 
    Sant’Antonio aprirono le loro porte. Agli Agostiniani successero i 
    Francescani. I chiostri dei frati minori si riempirono di dialetti, di fumi 
    e di effluvi odorosi.
 
  La strada e la collina adiacente, là dove alla fine del XIX secolo sarebbe 
    stata impiantata la pineta e all’inizio del secolo scorso sarebbe sorto il 
    sacro cimitero, si popolarono di equini ed ovini, animali da cortile e 
    suini, il cui frinire, belare, starnazzare e grugnire risaliva in fusione di 
    grida e voci di alterchi, conditi dal fumo dei bivacchi e delle cucine, il 
    tutto nelle gamme dei colori e dei costumi distintivi dei rom e dei ceti 
    sociali.Calavano le notti, ma non il chiasso che, sommesso solo nelle 
    strade, esplodeva nelle numerose cantine, generose di baccalà, sarache 
    e vini novelli. Le deboli fiamme delle torce appena rischiaravano il buio 
    che, benevolo, offriva complicità a prevedibili trasgressioni. Tant’è che alla fine della fiera uno spirito espiatorio e quasi esorcizzante 
    animava l’esposizione del Santissimo Sacramento nella pratica devozionale 
    delle così dette Quaranta Ore. L’assalto dei tempi, densi di 
    trasformazioni e sciagure, ha radicalmente cambiato lo spirito della fiera. 
    Anonima, oggi, scimmiotta il settimanale mercato.
 Non si avverte più l’ansia dell’imminente inverno che un tempo avrebbe 
    impedito commerci e rapporti.
 
  Il popolare detto Santa Catarinella, acqua o nevicella, più non 
    esprime il monito di un’attenta analisi per l’acquisto dei beni occorrenti. Eppure un’insolita affezione resiste per un appuntamento che, nonostante 
    tutto, conserva il suo fascino antico.
     
   Le foto:
 1) DORSALE 
   COLLINARE CHE CONSENTIVA IL TRANSITO DEI CARRI ATTRAVERSO LA PORTA DEL MONTE
 2) PORTA DEL TRAPPETO
 
   3)SULLO SFONDO, LA MACCHIA CAVALLETTI 
   4)RUDERI DELL'ANTICO OSPEDALE DI SANTA 
   CATERINA 
   5)SOMMITA'  DEL CASTELLO - INGRESSO ALLA TERRA DI MONTECALVO DALLA PORTA 
   DEL MONTE 6) 
   IMMAGINE DELLA FIERA ODIERNA 
   7)SANTA CATERINA D' ALESSANDRIA |