di Mario Sorrentino
Le
bolle sono un fenomeno vulcanico, assimilabile vagamente ad una solfatara,
con fuoruscita di gas e fango. Le emissioni mefitiche aumentano d’intensità
e spettacolarità dopo le piogge. Il luogo è una “Mofeta” e nei pressi doveva
trovarsi un santuario pagano dedicato alla dea Mefite, divinità degli
inferi. Relativamente a questa leggenda esiste anche una seconda versione che io ho raccolto, ma è tuttora inedita. San Nicola sarebbe passato per la taverna e avrebbe liberato tutti i bambini che l’oste malvagio teneva chiusi nella cassa, per poterli ammazzare e adoperarne le carni come pietanze per gli avventori. Alcuni luoghi, particolarmente suggestivi o notevoli per altezza, ubertosità o anche perché orridi, paurosi, spesso nelle credenze popolari si rivestono di un’atmosfera che, per il diritto o per il rovescio, ha a che fare con il divino, l’Aldilà. Basti pensare alle varie porte dell’Averno, per i nostri progenitori latini o latinizzati, agli alti luoghi su cui si elevano templi, ai boschi sacri, ecc.. Un eminente studioso delle religioni, Mircea Eliade, in un suo studio, Images et symboles, Parigi, 1952, propone un’efficace sintesi del simbolismo, legato ai luoghi sacri, definendolo con il termine di centro. Il centro, per Eliade, è il punto di intersezione tra i tre livelli nei quali, in modo universale, i popoli della terra suddividono il cosmo: il Cielo, la Terra e gli Inferi. Parlando del centro egli dice: “E’ qui che può accadere una frattura dei livelli e, nello stesso tempo, stabilirsi una comunicazione tra queste tre regioni”.
Ora, nel componimento di Siciliano
intitolato Li ‘mbóddre (Le Bolle), è narrato che un taverniere, che
dava da mangiare carne umana ai suoi ospiti, è scaraventato da Cristo, che
passava di là, all’Inferno insieme alla sua taverna. Dopo di che, in quel
luogo, la terra ribolle un po’ per avvertimento ai peccatori, forse, e un
po’ perché è rimasta aperta la via per l’Aldilà. Per la nostra gente è fuor
di dubbio che lì vi sia uno di questi centri di cui dice Eliade. Lì il
divino, l’umano e il demoniaco (con una particolare commistione di questi
due ultimi livelli, se si pensa all’antropofagia) sono entrati in contatto e
restano in contatto. Perciò, per me Li ‘mbóddre è un testo di alta
rilevanza folclorica e conserva, rivestiti di forme cristiane, aspetti delle
credenze primitive dei nostri antenati irpini. E ciò per un’altra
riflessione legata alla teoria del centro. In ogni cultura si crede che
presso il centro d’intersezione dei tre livelli cosmici, si manifesti
qualcosa del Caos originario. Un qualcosa che, la palude ribollente delle
nostre campagne testimonia molto efficacemente. Un altro elemento mescola
forse contenuti sacrali (il rituale della mietitura, di popolazioni
trasformatesi da cacciatori in coltivatori?) e, chissà?, storici
(l’antropofagia delle grandi carestie intorno al Mille?). Lascio a voi
l’approfondimento della questione. |
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